Napoli, Vittoria Sudata e Verità Svelate
- Rosario Caracciolo
- 4 giorni fa
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Il Maradona attendeva un concerto, un inno al calcio, ma stavolta i Fab Four hanno steccato la melodia. Il debutto casalingo del Napoli di Antonio Conte, campione d’Italia in carica, si è trasformato in una sinfonia stonata, almeno fino al lampo finale di Frank Zambo Anguissa. L’esordio dal primo minuto di Kevin De Bruyne e Lucca avrebbe dovuto accendere la serata, invece ha finito per appesantirla: due ombre in una notte che sembrava destinata al grigiore.

Il dato resta chiaro: su undici titolari, otto erano già bicampioni d’Italia, uno – Scott McTominay – fresco di tricolore in Inghilterra, e due erano i nuovi innesti tanto attesi. Ma proprio questi ultimi hanno deluso. Lucca, soprattutto, è apparso spaesato e fragile, sovrastato da Mina e Luperto; De Bruyne, appannato, non ha mai trovato le geometrie per illuminare la manovra.

Il mercato, d’altronde, non è stato semplice. Il colpo Højlund, pagato 50 milioni di euro dopo un braccio di ferro col Lipsia, è il simbolo di un’operazione costosa ma necessaria. Un investimento che dovrà dimostrare presto il suo peso, perché senza alternative in attacco – complice il forfait di Neres, l’uomo designato per spaccare le partite – il Napoli ha faticato tremendamente.
Contro un Cagliari compatto e difensivo, organizzato da un attento Pisacane, gli azzurri hanno sbattuto contro un muro fatto di fisicità e disciplina. Undici uomini dietro la linea della palla nel primo tempo: difficile per chiunque trovare varchi. Eppure, nonostante il tran tran lento e prevedibile, la partita ha regalato un finale da batticuore.

Il merito va a Conte, che ha inserito Buongiorno per dare minutaggio. Il difensore ha confezionato un rasoterra perfetto, un cross chirurgico che ha attraversato l’area e trovato la zampata di Anguissa, il George Harrison di una band che, anche quando stona, sa sempre piazzare l’acuto giusto. Al 95’, il Maradona è esploso. Chi aveva già lasciato lo stadio per evitare il traffico, ha perso la magia della mentalità contiana: quella che non molla mai, che insiste fino all’ultimo secondo.

I segnali, però, non vanno ignorati. Questo Napoli non può pensare di dominare ogni partita, né di camminare a braccetto con l’Inter in una passeggiata di salute. È un’annata dura, da sudare pallone dopo pallone. Non è un caso che il più pericoloso sia stato ancora McTominay, la punta aggiunta, capace di inventarsi conclusioni e di rendersi presente sempre e comunque. Accanto a lui, un Politano indemoniato, pronto a caricarsi sulle spalle la fascia destra.

Gli applausi finali sono giusti, ma accompagnati da una verità scomoda: senza lavoro, senza fame e senza ascoltare fino in fondo le parole del tecnico, nulla sarà scontato. Questa è la morale del match col Cagliari. Vincere giocando male è comunque un segnale di forza, ma anche un monito.

E sullo sfondo resta il mercato. Il nome di Marco Brescianini continua a circolare, un colpo last minute che potrebbe completare la rosa. Il direttore sportivo Giovanni Manna valuta le mosse, mentre altre operazioni minori – come la cessione di Luis Hasa – prendono forma. Sfuma l’idea Mainoo, blindato dal Manchester, e svanisce definitivamente Juanlu. Piccoli movimenti che testimoniano la fatica di un club che vuole restare competitivo a tutti i costi.
Il Pensiero Finale del Giornalista Tifoso, Rosario Caracciolo

Tre punti pesantissimi, figli della sofferenza e di un gol al 95’. Questo è il manifesto del Conte pensiero: “Amma faticà ma chiù assai...”. E allora diciamolo forte: questo Napoli non è un’orchestra perfetta, ma è una band che non smette mai di suonare, anche quando le note fanno male alle orecchie. E alla fine, quando meno te l’aspetti, arriva l’assolo che ribalta il destino. Non si vince per bellezza, si vince per fame. E questa vittoria gridata al cielo di Fuorigrotta ne è la prova più grande.
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